Conferenza Dottoressa Fiorenza Giorgi

QUALITA’ DELLA VITA

La qualità della vita non dipende soltanto dalla situazione economica del soggetto e dello Stato nel quale egli vive: soltanto negli ultimi anni si è scatenata un’attenzione quasi morbosa per dati come il PIL, il valore di scambio €./$. e lo SPREAD.

In realtà la qualità della vita dipende da una somma di fattori e, prima di tutto, dai diritti di ciascun individuo (e quindi dalla possibilità che egli ha di esprimere la propria personalità) e dalla sua cultura (intesa come capacità di meglio esprimersi sotto ogni punto di vista, prima di tutto lavorativamente).

Ed allora dobbiamo chiederci quali sono i diritti che la Costituzione repubblicana (vale a dire la legge fondante dello Stato, che disciplina i suoi elementi costitutivi, regola le fonti creatrici del diritto, legittima i pubblici poteri, ai quali conferisce la potestà di volere ed agire per lo Stato e di governarlo, stabilisce la posizione dei cittadini e dei gruppi sociali di fronte allo Stato, ne fissa i diritti e i doveri e delimita le attività di quest’ultimo rispetto ad essi) attribuisce ai cittadini e, in generale, ai consociati.

Una breve premessa: se è indubitabile che la nostra Carta fondamentale trae origine da quelli che potremmo chiamare i precedenti risorgimentali, va rilevato come questi ultimi si differenzino dalla nostra Costituzione, prima di tutto in quanto si trattava di costituzioni cosiddette “brevi”, vale a dire attente soltanto alla problematica dell’organizzazione costituzionale dello Stato ed al complessivo modo d’essere dell’ordinamento statuale, e non invece rivolte a disciplinare a fondo anche i rapporti fra gli individui e le autorità, dettando molteplici disposizioni direttive che hanno di mira un rinnovato assetto della società civile.

Altra differenza è data dal fatto che mentre le carte ottocentesche (ed in particolare lo Statuto Albertino, così chiamato in onore di Carlo Alberto di Savoia, che lo promulgò il 4 marzo 1948) erano “flessibili” (vale a dire erano parificate alle altre leggi dello Stato e come tale modificabili e derogabili dal legislatore ordinario), la Costituzione attuale appartiene a quelle cosiddette “rigide”, vale a dire condizionanti la legislazione ordinaria nel quadro delle fonti di produzione del diritto.

Ancora, ed è questa la differenza più rilevante, le costituzioni ottocentesche si dicevano “ottriate” (dal francese “octroyée”, che vuol dire “concessa”), in quanto appunto concesse per sovrana volontà del re, mentre quella attuale è nata per volontà del popolo, attraverso i suoi rappresentanti.

Ed infatti la nostra Carta fondamentale è frutto dell’opera della assemblea costituente, i cui membri furono eletti congiuntamente alla espressione del voto sulla forma istituzionale dello Stato (che fu tra l’altro la prima volta in cui alle donne fu concesso il diritto di elettorato attivo) e, in seno alla medesima di una apposita commissione detta “dei settantacinque”, che terminò i suoi lavori il  17 dicembre 1947.

La Costituzione promulgata il 1° gennaio 1948 è una legge di particolare complessità, come “parte fondamentale dell’ordinamento giuridico che dà allo Stato la individualità, disciplina i suoi elementi costitutivi, regola le fonti creatrici del diritto, legittima i pubblici poteri, ai quali conferisce la potestà di volere ed agire per lo Stato e di governarlo, determina gli organi supremi, il modo di nomina dei titolari, le loro competenze e limiti ed i reciproci rapporti, stabilisce la posizione dei cittadini e dei gruppi sociali di fronte allo Stato, ne fissa i diritti e i doveri e delimita le attività dello Stato rispetto ad essi”.

In sede di assemblea costituente fu in proposito affermato che “fare una costituzione significa cristallizzare le idee dominanti di una civiltà, esprimere una formula di convivenza, fissare i principi orientativi di tutta la futura attività dello Stato” e che con il porre certi principi giuridici nella Costituzione si vuole produrre “l’effetto giuridico di vincolare il legislatore, di stabilire la superiorità della determinazione in sede di costituzione di fronte alle effimere maggioranze parlamentari” (Aldo Moro).

Orbene, è fondamentale rilevare come l’art.2 della Costituzione affermi che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica, politica e sociale”.

Tale norma è particolarmente rilevante in quanto chiarisce che il nostro sistema è fondato, oltre che sul principio democratico, sul “principio personalista”: ciò significa che i diritti inviolabili dell’uomo non sono concepibili come un’autolimitazione dello Stato repubblicano, ma rappresentano un dato congenito dell’ordinamento statuale vigente, in difetto del quale verrebbe sconvolta la decisione politica che lo contraddistingue e differenzia dallo Stato autoritario del ventennio fascista.

Ne segue che l’inviolabilità di tali diritti comporta anche la loro intangibilità ad opera di qualsivoglia pubblico potere, a meno di alterare la forma essenziale dello Stato.

Gli articoli della Carta Repubblicana che di seguito citerò si riferiscono alle singole libertà fondamentali, la cui tutela è affermata a livello costituzionale (vale a dire al più alto livello normativo in quanto, in una ideale raffigurazione geometrica della gerarchia delle diverse norme, quelle contenute nella Carta Costituzionale sarebbero al vertice della piramide e le altre, ad esse sottordinate, sono tenute ad adeguarvisi). Ed invero:

 

ART. 8: “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”

ART.13: “la libertà personale è inviolabile”

ART.14: “il domicilio è inviolabile”

ART.15: “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”

ART.17: “i cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”

ART.18: “i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati dalla legge penale”

ART.19: “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purchè non si tratti di riti contrari al buon costume”

ART.21: “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”

ART.24: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi

ART.29: “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”

ART.30: “è diritto e dovere dei genitori, mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”

ART.32: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”

ART.33: “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.

 

Questo elenco di norme ci dimostra come il nostro Stato riconosca a tutti una serie di posizioni attive (cioè, di diritti) l’esercizio dei quali è fondamentale per la qualità della vita di ciascuno.

E badate che, se andate a leggere con attenzione tali norme, noterete che le stesse si riferiscono a diverse situazioni e momenti della vita, dal suo sorgere (riconoscimento dei diritti della famiglia, nonché del diritto-dovere dei genitori di occuparsi dei figli) al suo tramonto (nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario), attraverso il suo divenire (istruzione scolastica, cultura, adesione ad una fede religiosa e/o ad una corrente di pensiero).

Il fatto poi che l’art.24 riconosca a tutti la possibilità di agire in giudizio (vale a dire, rivolgersi all’autorità giudiziaria) per vedere riconosciuti i propri diritti, ci fa comprendere come il nostro sistema costituzionale non soltanto si occupi della qualità della vita dei consociati, ma anche di assicurare loro i mezzi per difendere tale qualità, ove la stessa sia illecitamente turbata da altri.

D’altra parte anche l’interprete della legge, vale a dire, l’autorità giudiziaria, alla quale spetta il compito di applicare la legge (che è norma generale) al caso concreto (cioè alla situazione particolare) che le è sottoposto in sede di giudizio ha dato nel corso degli anni riconoscimento a posizioni e situazioni che prima ne erano prive.

Così è stata data tutela in materia di inquinamento da attività industriale non soltanto ai dipendenti della singola impresa (sovente vittime di patologie legate all’uso di particolari sostanze) ma anche a coloro che vivono nell’ambiente circostante, creando il concetto di “disastro ambientale”; si è offerta una particolare tutela ai “diritti del consumatore” (per tale intendendosi colui che, come singolo, conclude un contratto con un ente od un’impresa che sia in una posizione di vantaggio: ad es. imprese erogatrici di energia, ferrovie, imprese aeree, istituti bancari e simili); si è dato spazio, disciplinandole a livello legislativo, alle cosiddette “azioni collettive”;  si è venuti riconoscendo che non esiste “la famiglia”, bensì sussistono – e sono meritevoli di tutela – “le famiglie”, intese come nuclei di persone, non necessariamente di sesso diverso, unite da legami (non giuridici ma esclusivamente) di affetto e stabile convivenza (fra l’altro via via eliminando ogni differenza di trattamento tra figli legittimi – nati in costanza di matrimonio dei genitori – e figli naturali – tutti gli altri); si è riconosciuto il diritto alla sessualità delle persone con problemi di disabilità psichica e quello all’accesso ai metodi contraccettivi dei minorenni (purché maggiori degli anni quattordici); si sono ristrutturate le modalità di assistenza alle persone maggiorenni incapaci di autodeterminarsi prevedendo, accanto all’istituto della tutela degli interdetti, quello dell’amministrazione di sostegno (che consente alla persona ad esso soggetta di essere affiancata – e non del tutto sostituita – dal soggetto chiamato a prestargli assistenza); si è prevista una nuova figura di reato – quella di “atti persecutori” – nella quale sono state fatte rientrare una serie di condotte anche se non violente comunque  moleste che abbiano l’effetto di da cagionare a chi le subisce un grave e perdurante stato d’ansia e di paura, nel contempo ingenerando nella stessa un fondato timore per l’incolumità propria e dei prossimi congiunti, o costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita.

Un campo particolarmente importante nel quale negli ultimi decenni si è affermata la centralità del singolo soggetto a fronte dell’organizzazione che deve provvedere alle sue esigenze è quello sanitario, con il riconoscimento della necessità che ogni trattamento sanitario (sia farmacologico che chirurgico) sia preceduto dal consenso di chi deve sottoporvisi, consenso che deve essere “informato”, vale a dire preceduto da un congrua spiegazione, da parte del medico che esegue l’intervento, delle modalità, delle finalità e delle possibili conseguenze dello stesso.

E ciò in quanto, come correttamente osservato dalla Corte di Cassazione, “la vita e l’incolumità fisica costituiscono un retaggio così geloso e sacro della persona umana, che essa solo può disporne, nella sfera inviolabile della propria libertà personale (art.13 Costituzione)”.

Legato all’argomento di cui sopra è il dibattito sul cosiddetto “testamento biologico” (che in realtà è più corretto denominare come “direttive anticipate”), vale a dire sulla facoltà per il singolo soggetto di decidere con anticipo se ed a quali terapie intenda essere sottoposto in caso di malattia certamente insanabile.

In proposito appare fondamentale ricordare

Vale la pena di chiudere questa parte richiamando la ormai notissima sentenza 16 ottobre 2007 n.21748 resa dalla Corte di Cassazione sul caso Englaro (la vicenda attiene alla vicenda della giovane Eluana Englaro, da anni in stato vegetativo, il cui padre – a suo tempo nominato tutore – chiese ed alla fine ottenne l’autorizzazione a disporre l’interruzione delle terapie che la tenevano in vita – ed in particolare della nutrizione artificiale).

Tale pronuncia ha affermato che “il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario: senza il consenso informato l’intervento medico è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente. … Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. … Deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita. Di fronte al rifiuto della cura da parte dell’interessato c’è spazio … per una strategia della persuasione, perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico.  … Il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale. E d’altra parte occorre ribadire che la responsabilità del medico per omessa cura sussiste in quanto esista per il medesimo l’obbligo giuridico di praticare o continuare la terapia e cessa quando tale obbligo viene meno: e l’obbligo, fondandosi sul consenso del malato, cessa – insorgendo il dovere giuridico del medico di rispettare la volontà del paziente contrario alle cure – quando il consenso viene meno in seguito al rifiuto delle terapie da parte di costui”.

Da ultimo, quindi, in applicazione dell’art.32 della Costituzione ed escludendo la necessità di una (pur auspicabile) norma ad hoc, i giudici hanno riconosciuto il diritto dei consociati di scegliere come terminare la propria vita, e quindi di decidere ancora una volta la qualità della propria esistenza.

Il nostro sistema, infine, ha offerto ai consociati la facoltà di scegliere quale destinazione dare al proprio corpo dopo la morte, non soltanto prevedendo – in alternativa alla inumazione – la cremazione (sistema già da tempo previsto e da ultimo consentito anche dalla chiesa cattolica) ma anche consentendo la successiva dispersione delle ceneri (purché espressamente richiesta dall’interessato e subordinata  all’osservanza di alcune prescrizioni, peraltro di natura essenzialmente igienica).

Quanto siamo venuti dicendo da ultimo ci conferma in quanto vi avevo premesso: la qualità della vita riguarda ogni momento della stessa e quindi il suo termine, in occasione del quale non vi è ragione per venire meno ai principi costituzionali sopra riportati, in una sorta di catena ideale che accompagna ciascuno di noi.

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